Cibo e cervello: nuove evidenze aprono strada a futuri trattamenti

Lo studio delle risposte cerebrali agli stimoli del cibo permette di comprendere i meccanismi alla base dei disordini del comportamento alimentare e di sviluppare nuove strategie preventive e terapeutiche.

Come reagisce il cervello agli stimoli del cibo?

La risposta potrebbe essere la chiave per delucidare i meccanismi che stanno alla base dei più comuni disordini del comportamento alimentare, e allo stesso tempo per facilitare lo sviluppo di nuove strategie preventive e terapeutiche da destinare ai soggetti più suscettibili. Oggigiorno le tecniche di neuro-imaging permettono di investigare la relazione tra l’assunzione di cibo, o la semplice esposizione a stimoli visivi alimentari, e le risposte funzionali del cervello.

In questo modo è possibile studiare dettagliatamente le basi neurologiche dei disordini alimentari e riconoscere specifiche alterazioni dei meccanismi biologici cerebrali implicate nello sviluppo e nella persistenza di condizioni come l’obesità, il diabete, le sindromi da alimentazione compulsiva (binge eating disorder) o la più generale predilezione per i pasti ipercalorici. Lo stato dell’arte della ricerca neurobiologica nel campo dell’alimentazione è stato presentato durante il meeting annuale della Society for Neuroscience, il principale evento che raduna opinion leader in materia e raccoglie le nuove evidenze emergenti.

Tra le più recenti osservazioni, spicca l’intuizione che l’obesità influisce negativamente sulle funzioni cognitive. Un’altra evidenza, non del tutto nuova, riguarda l’importanza del pasto mattutino. “Saltando” la colazione, infatti, si produrrebbe l’attivazione di una parte del cervello coinvolta nella ricerca di sensazioni gratificanti. Questo fenomeno è stato adesso confermato attraverso studi funzionali che dimostrano, nei soggetti che non consumano la colazione, una maggiore attivazione di quest’area cerebrale in risposta alla vista di immagini raffiguranti cibi ipercalorici.

Il risultato sarebbe quindi la tendenza al consumo smisurato di cibo a pranzo. Dal fronte della ricerca sperimentale emerge la possibilità di controllare i disturbi da alimentazione compulsiva con un farmaco normalmente impiegato per il trattamento delle dipendenze. Altri studi condotti su modelli animali suggeriscono i disordini metabolici legati all’alimentazione possono compromettere le funzioni cerebrale. In particolare, le diete ricche in zuccheri sembrano interferire nella segnalazione dei recettori dell’insulina presenti a livello cerebrale, compromettendo così la memoria spaziale dell’animale. L’utilizzo di supplementi a base di acidi grassi omega-3 potrebbe però contrastare questi effetti. Infine, un nuovo composto in fase sviluppo potrebbe essere impiegato per trattare alcuni disordini alimentari compulsivi, tra cui l’obesità, poiché in grado di antagonizzare uno specifico recettore presente a livello cerebrale potenzialmente coinvolto nelle sensazioni legate al desiderio di cibo indipendentemente dal fabbisogno calorico.

Complessivamente, queste osservazioni sottolineano l’importanza del cervello quale organo centrale nella patogenesi dei disordini alimentari. Presto, molte di queste nozioni sperimentali potranno tradursi in strategie consolidate per aiutare le persone che lottano quotidianamente contro il peso corporeo a riguadagnare il controllo sulle proprie scelte alimentari.

Bigliografia :

Fonti :

sab 27 ottobre 2012
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